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LUCE n.332 2020 – arch. Margherita Suss on “Architects & Lighting Designers”

Traendo spunto dalle considerazioni di Erica Napoli Rottstock espresse nell’articolo “La professione del Lighting Designer e gli architetti: perché manca il coinvolgimento?”, provo a evidenziare le possibili ragioni di tale mancata opportunità.

Se il legame tra Luce e Architettura è sempre culturalmente esistito, fino a divenire in taluni casi l’essenza stessa del progetto materiale, lo sviluppo professionale di una specializzazione in grado di finalizzare il proprio operato verso la creazione di scenari notturni fruibili, funzionali e suggestivi, in grado di ricreare l’immagine specifica e riconoscibile delle architetture e dei tessuti urbani, spesso in effetti non è riconosciuto quale valoroso contributo del processo creativo.
Eppure, la progettazione illuminotecnica a supporto dell’architettura, in qualunque luogo e per qualunque spazio, è davvero in grado di fornire elementi di valorizzazione come parte di un sistema complessivo interagente, il cui rispetto garantisce la corretta ambientazione o definizione dei caratteri prevalenti che saranno i principi ispiratori della progettazione stessa.
Criteri ispiratori che fanno riferimento al perseguimento di importanti obiettivi che la valorizzazione luminosa, finalizzata in definitiva alla determinazione di un vero e proprio percorso, è in grado di attuare: illuminazione d’accento e scenografica, creazione del sistema della ricettività culturale, virtuosi processi di riqualificazione funzionale, risparmio energetico e programmazione economica, sono elementi peculiari cui l’architetto può attingere dal lighting design a completamento e supporto del proprio processo creativo.

La definizione degli interventi specifici sarà frutto dello sforzo di cogliere, sopra ogni altra cosa, il genius loci e il cuore del progetto stesso, in stretta collaborazione con l’architetto, al fine di dar vita a un utilizzo di percorsi e specificità “tridimensionali” concepite immaginando gli occhi del fruitore, del destinatario finale, che saranno guidati da vedute e scorci alla scoperta del contesto ambientale e materiale.
Nel caso specifico, la proposta progettuale propria dell’attività del lighting designer considera la luce come momento essenziale del modo di presentarsi dello spazio e come elemento determinante nel modellare spazi migliori, valorizzati e realmente fruibili.

Dunque, come mai questa opportunità si rappresenta spesso come un’occasione mancata, visto che la luce è strumento e forma dell’architettura?

Purtroppo temo che non si tratti più di non essere edotti del valore aggiunto connesso all’interazione tra le due professioni, ma molto più banalmente e drammaticamente allo scarso investimento su tale valore aggiunto, che impone necessariamente la contrazione dei costi professionali già all’incipit del processo creativo.
È un investimento che richiede di riconoscere al valore culturale lo straordinario ruolo di risorsa, per cui ogni sottrazione in tal senso non può che procrastinare ciò che invece dovrebbe essere cogente, ovvero la promozione di virtuosi processi progettuali in cui l’interdisciplinarietà delle competenze è garante di qualità e attitudine alla soluzione dei bisogni.
Architetti e Lighting Designer sono soggetti con una medesima matrice ab origine, e pertanto condividono un medesimo linguaggio, che semplicemente esprimono con tecniche differenti: ma forse la difficoltà di vederli operare con maggiore coinvolgimento risiede anche nelle difficoltà reciproche di sostenere la loro stessa professione, il proprio processo progettuale… e ciò certamente costituisce una vera e propria mancata occasione di accrescimento culturale e di valore per tutti.

LUCE 332 2020 – “Taccuini di Luce”

“La luce è un elemento determinante nel modellare spazi migliori, valorizzati e realmente fruibili”

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